L’emergenza Covid-19 potrebbe offrire l’occasione per ripensare il quadro ed i tempi della programmazione
dei Fondi Europei in agricoltura.
Premessa
Stiamo vivendo un momento di grande difficoltà, in primis sanitaria, ma anche sociale, economica e
culturale.
In questo primo mese di crisi ci siamo dovuti confrontare direttamente con l’emergenza sanitaria e il
contributo che abbiamo potuto dare come società è stato quello di “stare a casa” per aiutare ad evitare una
diffusione del virus.
Ma il nostro lavoro, che in larga parte è legato alla programmazione dei Fondi Strutturali in Italia, ci ha
portati a riflettere su quali potessero essere gli impatti di questa pandemia associata al Covid-19 sui
territori nei quali siamo presenti ed operiamo a fianco delle Pubbliche Amministrazioni da oltre 20 anni.
Ora queste riflessioni ci spingono a tradurre in una proposta operativa le discussioni che da tempo, anche
prima di questa emergenza, accompagnano i progetti e le valutazioni che svolgiamo, con riferimento in
particolare al settore agricolo, centrale nelle politiche comunitarie per le sue intrinseche debolezze e per la
sua importanza strategica ed economica.
Da tempo, infatti, insieme alle amministrazioni pubbliche, studiamo e valutiamo gli interventi diretti al
settore, in particolare nelle zone svantaggiate, cercando soluzioni e nuove modalità di azione al fine di
preservare l’attività agricola in quanto produttrice di beni primari e necessaria per il presidio del territorio.
L’emergenza Covid giunge nella fase di avvio del nuovo settennio di programmazione 2021/2027. Avviare
nuovi strumenti di aiuto in una situazione di crisi e di incertezza come quella attuale potrebbe non essere la
soluzione ottimale, mentre è sicuramente più semplice intervenire modificando opportunamente dei
dispositivi su cui c’è già esperienza, competenza e, quindi, maggiore rapidità d’azione.
L’idea di mantenere per un certo periodo gli attuali strumenti al fine di assicurare la continuità
nell’erogazione dei premi e offrire la possibilità alle aziende agricole di effettuare investimenti in tempi
rapidi e con strumenti conosciuti, potrebbe contribuire ad alleviare le difficoltà economiche e finanziarie
che le aziende si trovano e si troveranno ad affrontare, ma soprattutto potrebbe costituire il presupposto
per ripensare l’ottica della programmazione “settennale” in agricoltura e renderla più stabile nel tempo.
La proposta
IZI è impegnata ormai da oltre 25 anni nella programmazione, gestione e valutazione dei programmi
comunitari che sostengono l’agricoltura un settore che, in questo periodo a dir poco complicato della
nostra vita economica e sociale, si trova in prima linea per garantire a tutti noi il necessario
approvvigionamento alimentare e che, contemporaneamente, deve affrontare le incertezze di mercato
determinate dal repentino cambiamento delle abitudini alimentari: dalla chiusura del settore Horeca, a cui
corrisponde una forte contrazione delle vendite di alcuni prodotti soprattutto di alta qualità, alla decisione
di molti supermercati del Nord Italia di non offrire più prodotti da banco nel rispetto del distanziamento
sociale, con lo spostamento delle vendite verso i prodotti porzionati e confezionati per i quali le aziende di
minori dimensioni non sono sempre attrezzate; dal rallentamento delle esportazioni che riguardano in
particolar modo le eccellenze agroalimentari italiane, all’aumento della domanda di alcuni prodotti (ad es.
le mele) e servizi (es. le consegne a domicilio) per i quali le aziende devono attrezzarsi e prepararsi.
A tutto ciò si aggiunge l’incertezza sul quando finirà questa emergenza e su quali effetti determinerà sulle
nostre abitudini, con le conseguenti difficoltà di programmare la ripartenza, difficoltà accentuate dal fatto
che l’agricoltura, per sua natura, ha tempi di reazione relativamente lunghi perché un’insalata (o il grano
per la farina o un’albicocca…..) non si può assemblare, ma si deve seminare, trapiantare, coltivare e
raccogliere.
La necessità di riorientare le produzioni e l’organizzazione del lavoro non potrà che sfociare nell’urgenza di
realizzare investimenti, possibili solo in presenza di strumenti idonei e di garanzie sul reddito. A questo
proposito è sicuramente da vedere con favore l’iniziativa della UE che, attraverso la Banca Europea per gli
Investimenti (BEI), ha messo a disposizione 8.000 M€ per sostenere le PMI, comprese quelle agricole 1 .
Tuttavia l’agricoltura italiana è poco propensa e poco abituata ad utilizzare strumenti di tipo finanziario, in
quanto nella maggior parte dei casi le aziende sono a carattere familiare con modalità di operare che non
ricalcano quelli delle grandi imprese.
Per questo motivo sarebbe opportuno, oggi, prorogare gli attuali programmi cofinanziati dalla CE attraverso
i fondi SIE 2 in modo da accelerare la messa a disposizione di contributi pubblici attraverso strumenti già
rodati e pienamente attivi e, nel caso dell’agricoltura, cogliere l’occasione per ripensare alla logica di una
programmazione attualmente settennale per interventi che di fatto proseguono nel tempo quasi invariati
tra un periodo e l’altro.
Covid-19 arriva in Europa proprio nell’anno in cui si chiude il settennio di programmazione 2014/2020.
Superare il tabù della programmazione settennale e proseguire nell’uso di strumenti ormai consolidati (cioè
gli attuali Programmi di Sviluppo Rurale) consentirebbe alle amministrazioni di concentrare la propria
attività sull’attuazione, ai beneficiari di operare su un terreno conosciuto, ai decisori politici di utilizzare
forme di governance che permettono il controllo dei fondi erogati proseguendo nelle modalità ormai
consolidate ed eventualmente, se necessario, innalzare la quota di cofinanziamento per alcune tipologie di
progetti o categorie di beneficiari.
Questa possibilità sembra essere ancora più importante nel settore agricolo dove non ci si può limitare a
guardare solo agli investimenti, in quanto i contributi in conto esercizio (premi, aiuti, indennità)
rappresentano una quota fondamentale del reddito degli agricoltori raggiungendo mediamente il 13% della
PLV delle aziende e il 32% del loro reddito netto (cfr. RICA 2018), incidenza che risulta particolarmente
rilevante in alcuni settori.
L’importanza dei contributi è tale che diventa fondamentale per gli agricoltori poter disporre di una
ragionevole certezza sugli importi che saranno erogati e dei tempi di erogazione. I contributi derivano
principalmente dal primo pilastro della PAC, ma, per le aziende delle zone svantaggiate, sono molto
rilevanti anche quelli erogati attraverso il secondo pilastro (PSR).
Un quadro ce lo restituisce un’analisi effettuata per le Province Autonome di Trento e Bolzano nell’ambito
della valutazione dei rispettivi PSR. La Rete di Contabilità Agraria – RICA mette a disposizione i dati
disaggregati per entrambi i territori. Tali aree possono essere considerate, con buona approssimazione,
come rappresentative delle zone svantaggiate presenti sull’intero territorio nazionale. Le analisi hanno
evidenziato come in questi territori, per le aziende di bovine da latte, tipicamente presenti nelle aree più
difficili e impervie, l’incidenza degli aiuti pubblici sulla PLV raggiunga il 23% per Trento e il 21% per Bolzano
e quella sul Reddito Netto arrivi rispettivamente al 44% e al 55%. In entrambi i casi i contributi ottenuti
attraverso il PSR sono superiori di quelli ottenuti attraverso il primo pilastro. Questi dati mostrano in modo
oggettivo quale importanza rivestano i contributi della politica agricola per le aziende agricole e come, un
loro rallentamento, o peggio interruzione temporanea, come accaduto a volte in passato nel passaggio da
una programmazione all’altra, potrebbe comprometterne la sopravvivenza.
La proroga delle misure e degli strumenti in vigore, con un loro rifinanziamento, offrirebbe alle aziende
agricole quelle garanzie economiche indispensabili alla prosecuzione della loro attività, ridurrebbe in modo
significativo i rischi di abbandono delle aree marginali e consentirebbe un accesso più semplice (e
amministrativamente meno oneroso) ai contributi per gli investimenti, senza dimenticare che tutto ciò
aiuterebbe a garantire, in questo momento di incertezza, un approvvigionamento costante di prodotti
agricoli per la GDO e/o per l’agroindustria e, in definitiva, per tutta la collettività.
Avviare un nuovo periodo di programmazione in una situazione di crisi economica potrebbe, invece,
comportare ritardi e rallentamenti tali da indurre molte aziende agricole, soprattutto quelle che operano in
zone svantaggiate, ad abbandonare la loro attività.
Tra l’altro, almeno per quanto riguarda i fondi destinati all’agricoltura, la proroga sembra essere inevitabile
anche per il grave ritardo accumulato nell’approvazione dei nuovi Regolamenti, tanto che la stessa Corte
dei Conti del Lussemburgo, già prima dell’emergenza Covid, riteneva improbabile che l’avvio dei nuovi
programmi potesse avvenire con un solo anno di ritardo, ovvero nel 2022.
Se, come pare possibile, l’emergenza Covid determinerà dei cambiamenti positivi nelle nostre abitudini, ad
esempio attraverso il rafforzamento dello smart working che sta trovando un buon apprezzamento in
questo periodo di applicazione forzata, si potrebbero individuare e mantenere dei cambiamenti migliorativi
anche nelle consolidate prassi operative comunitarie.
Per quanto riguarda il FEASR sarebbe auspicabile il superamento, non solo nella fase emergenziale, della
logica di programmi a cadenza settennale. Si tratta infatti di interventi stabili nel tempo con una continuità
di azione che dura da almeno 20 anni, con assestamenti dovuti più ad una finalizzazione maggiore della
strategia rispetto a specifici obiettivi soprattutto, ma non solo, ambientali, che ad altri fattori. Il passaggio
fra due programmazioni successive ha comportato sempre delle discontinuità che, oltre a creare malumori
e rischi di disparità nel trattamento fra le aziende, lasciano nell’incertezza gli agricoltori sul versante premi
(anzi, ancor peggio, rischiano di creare dei vuoti) con il rischio di un abbandono prematuro dell’attività,
soprattutto nelle aree svantaggiate. Senza contare gli sforzi amministrativi per la realizzazione dei nuovi
piani e per l’adeguamento delle misure alle nuove regole.
Potrebbe essere quindi utile riconsiderare l’intero sistema prevedendo un quadro di riferimento di base più
stabile nell’ambito del quale possano trovare spazio i principali aiuti previsti dai PSR: i premi
agroambientali, le indennità compensative, il biologico, ma anche gli aiuti ai giovani agricoltori e gli
investimenti delle aziende agricole e dell’agroindustria. Questo quadro potrebbe essere assoggettato a
verifiche e valutazioni periodiche, anche parziali e/o settoriali, sulla base delle quali intervenire per
modificare, in modo più agile e puntuale (e solo quando necessario) gli interventi previsti e le modalità di
selezione, adeguandoli alle nuove necessità del settore.
In questo momento appare quanto mai opportuna, come già evidenziato, un’azione della UE in tale
direzione: avviare un nuovo periodo di programmazione in una situazione di crisi economica potrebbe
comportare difficoltà tali da indurre molte aziende agricole, soprattutto quelle che operano in zone
svantaggiate, ad abbandonare la loro attività.
Mantenere, almeno per un certo periodo, gli attuali strumenti (rifinanziandoli) può offrire alle aziende
quella continuità nell’erogazione dei premi che garantisce la liquidità indispensabile per alleviare le attuali
incertezze economiche e finanziarie e assicura una maggiore propensione verso gli investimenti che si
renderanno necessari.